David Bailey, il volto che parla. Ispirò Michelangelo Antonioni in “Blow up”

David Bailey Self portrait, 2011,C David Bailey
David Bailey Self portrait, 2011,C David Bailey

Esattamente trent’anni fa, nel 1985, venne proposta al Palazzo Fortuny di Venezia e, immediatamente dopo, a Sasso di Castalda, un piccolo paese in provincia di Potenza, per la prima volta in assoluto in Italia, una grande mostra dedicata al fotografo inglese più trendy dell’epoca, già un “mito”, invidiatissimo primo marito di Catherine Deneuve, a cui si ispirò, dandogli il volto di David Hemmings, Michelangelo Antonioni per il suo film “Blow up”; si trattava di David Bailey (Londra, 1938), di cui veniva offerta al pubblico una ricca selezione di immagini realizzate nel ventennio precedente. Nel catalogo edito da Electa scriveva tra l’altro Martin Harrison: “Oggi David Bailey, che negli anni ’60 era emerso come una figura anti-establishment, continua a eludere le facili etichettature di ‘sistemarsi’, di integrarsi in qualche tendenza fotografica. E’ stato nominato membro della Royal Photographie Society. Al suo lavoro sono state dedicate esposizioni retrospettive nei più importanti musei e servizi in dotte pubblicazioni come Creative Camera e The Photographie Collector. Ciò nonostante, Bailey preferisce non scegliere tra una carriera esclusivamente personale o professionale e, irritando alcuni e approvato da molti, lavora e spesso eccelle in entrambe”.

David Bailey, Jack Nicholson, 1984, C David Bailey
David Bailey, Jack Nicholson, 1984, C David Bailey

Una “preveggenza”, questa di uno tra i più importanti studiosi e critici britannici di fotografia, che trova una sorprendente conferma dalla retrospettiva che, con il titolo “Stardust. David Bailey”, gli dedica il PAC di Milano, realizzata in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra e con il magazine “Icon”, corredata da un superbo catalogo edito da Skira con un saggio di presentazione (ahimè solo in inglese) dello scrittore e storico d’arte Tim Marlow. Tra impegni di alta professionalità e instancabile ricerca in sempre nuovi territori dell’immagine si è svolta la sua attività di fotografo nei successivi trent’anni. La mostra milanese, infatti, proponendo al pubblico uno sguardo d’insieme, a tratti inedito, sulla carriera di uno dei riconosciuti, celebri e celebrati padri fondatori della fotografia contemporanea, con oltre trecento immagini, selezionati personalmente dal fotografo, oltre a riproporre i primi due decenni della sua attività, raccontano l’ultimo trentennio del suo lavoro, svoltosi sempre sul doppio binario di prestigiose committenze e di percorsi personali di indagine più liberi, ispirati dalle curiosità più diverse e da una infaticabile e sempre nuova esigenza di sperimentazione. La sua opera innovativa e provocatoria, avviata nella Swinging London degli anni ’60, di cui ha raccontato i protagonisti, ne ha fatto uno dei fotografi più influenti al mondo, che non ha mai smesso di impressionare e ispirare critici e ammiratori; scardinando le rigide regole che avevano guidato la precedente generazione di fotografi ritrattisti e di moda, Bailey ha saputo incanalare nel suo lavoro e nella sua parallela ricerca artistica la novità e l’energia della street culture londinese, creando uno stile personalissimo.

David Bailey, Grace Jones, 1967, C David Bailey
David Bailey, Grace Jones, 1967, C David Bailey

Nel corso della sua carriera, iniziata come fotografo di moda per “Vogue”, ha ritratto centinaia di attori, scrittori, musicisti, registi, icone della moda, designer, modelli, artisti, celebrità e persone comuni incontrate nella vita quotidiana e nel corso dei suoi viaggi. Le sue immagini iconiche di leggende come i Rolling Stones, i Beatles, Salvador Dalì, Meryl Streep, Bob Marley, Bob Dylan, Mick Jagger, Damien Hirst o Kate Moss, ritratti in semplici ma coinvolgenti e potenti immagini in bianco e nero, sono diventate una firma inconfondibile. Nell’aprile del 2014 ha ritratto anche la Regina Elisabetta, in occasione del suo ottantottesimo compleanno. La mostra non procede lungo un percorso cronologico ma tematico, mettendo a confronto generi molto diversi: dalla fotografia di moda allo still life, fino ai reportage di un “viaggio”, continuo e ininterrotto, all’interno della sua personale storia della fotografia che dall’East End londinese ci conducono fino in Sudan, in India, in Australia, in Papua Nuova Guinea.

David Bailey, Mick Jagger, 1964, C David Bailey
David Bailey, Mick Jagger, 1964, C David Bailey

Da quella lontana prima retrospettiva italiana, sono passati tre decenni e la fotografia di Bailey, ovviamente, è andata avanti verso approdi nuovi e diversi, come da’ conto egregiamente la mostra di Milano. Ma un filone del suo lavoro, quello forse più originale, innovativo e affascinante del “ritratto”, sembra aver mantenuto un approccio e uno stile che si è conservato uguale nel tempo. Fotografando le sue “vittime” preferite (tanto per ricordarne ancora qualcuna, un tenebroso Fellini, una Sharon Tate e Roman Polanski in un tenero abbraccio, Peter Ustinov, Michael Caine, la poco più che adolescente Jane Birkin, che, nel 1969, fece scalpore con la sua canzone “proibita” Je t’aime, mois non plus; e poi grandi artisti e fotografi che per lui hanno contato di più, come Cacil Beaton, Ansel Adams, Bruce Weber, Man Ray, Bill Brandt, Lartigue, Kertész, Brassaï, McCullin, Bacon, Alvarez Bravo, Cartier-Bresson) nell’ambiente asettico dello studio o illuminandole, per strada, in eccesso, Bailey riesce a sottrarre il volto ai riferimenti del contesto, provocando il lettore con una immagine pura, con una tecnica che ricorda il cinema di Ingmar Bergman. I volti dei personaggi di ieri, come di quelli fotografati negli ultimi anni, vengono sottratti ad ogni riferimento spazio-temporale, deambientati e destorificati, per essere fatti emergere da sfondi, chiari o scuri, anonimi e freddi, che non ammettono alcuna distrazione dal valore assoluto e di per sé “parlante” del volto.

David Bailey, Andy Warhol, 1965, C David Bailey
David Bailey, Andy Warhol, 1965, C David Bailey

Mentre lavorava nel 1967 per il libro Goodbye Baby, and amen, Bailey disse che il suo talento era quello di includervi “tutta la gente che significa qualcosa per me” e di voler “far vedere cosa sta succedendo. Lasciare una testimonianza, un documento”. Oltre che una convinzione maturata agli inizi della sua attività, è un “progetto” alla cui realizzazione, con coerenza e consapevolezza, Bailey sta ancora lavorando, in una sorta di un work in progress a cui ha dedicato un’intera vita e che lo impegna ancora contando sulla sua sorprendente vitalità e su un’ inventiva sempre nuova, emozionata e emozionante.

Giusy Alvito

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: