
Pochi giorni dopo la scomparsa di Nicola Mastropietro – avvenuta il 20 gennaio del 1973 – le pagine locali di alcuni quotidiani dedicarono un ricordo al geniale e longevo artigiano, definendolo “Il poeta dell’acciaio”.
In effetti Mastropietro, nel corso della sua lunga esistenza – era nato 96 anni prima nel 1877 – aveva riportato agli splendori di un tempo l’arte dell’acciaio traforato, lavorando con trapano, bulino, ceselli e lime i più svariati manufatti, trasformando in piccoli e grandi capolavori anche oggetti di uso quotidiano, come potevano essere per esempio forbici, coltelli, rasoi. I suoi traforati erano vere e proprie trine, verrebbe da dire, anche se si trattava di merletti ricamati nel duro acciaio e non in morbidi tessuti.

Non solo utensili di tutti i giorni, però, sono rintracciabili nella sua produzione: preziosi servizi da scrittoio, daghe, porta giornali, cornici, vasi sono solo alcuni degli altri eccellenti esempi di come la fantasia e la verve artistica di Nicola potevano in realtà lasciare l’inconfondibile marchio “Mastropietro” praticamente su qualunque articolo, rendendoli subito riconoscibili anche se non fossero stati punzonati col suo nome.
Prodotti che poi, prima di essere venduti o di essere magari destinati in omaggio a qualche personaggio illustre, venivano spesso mostrati ai concittadini in fantastici e proverbiali allestimenti delle vetrine del suo negozio quando Mastropietro partecipava, al pari degli altri commercianti del centro città, alle tradizionali esposizioni del Giovedì Santo.

Non gli mancarono i riconoscimenti: dalla stima e dalla considerazione dei campobassani che sostavano spesso ammirati davanti alle sue vetrine, alle medaglie e ai premi guadagnati in numerose esposizioni in tutta Italia, fino a quella che forse fu la sua soddisfazione più grande: il brevetto con il quale nel 1910 gli fu concesso di fregiare la sua attività con lo stemma della Casa Reale di Sua Maestà la Regina Madre Margherita di Savoia. Un privilegio che Mastropietro accolse da par suo, realizzando quello stemma proprio in acciaio traforato ed esponendolo poi, appunto, nel suo accorsato e prestigioso negozio.
Ma l’appellativo di “poeta”, che gli fu attribuito sui giornali che lo ricordarono, era assolutamente meritato non solo per l’indiscutibile perizia, che lo avvicinava più alla figura del geniale artista che non a quella del semplice artigiano, ma anche perché aveva saputo dimostrare doti non comuni pure nella scrittura e nel disegno.
Negli ultimi venti anni della sua esistenza, infatti, aveva impreziosito numerosi album con bellissimi disegni che riproducevano – grazie alla sua prodigiosa memoria – opere da lui realizzate in acciaio diversi decenni prima; come se non bastasse poi, quasi contemporaneamente, aveva avviato anche la redazione di parecchi quaderni nei quali, con scrittura elegante e ferma, aveva affrontato i più vari argomenti: dalle memorie personali alla figura di Padre Pio, oppure dalla storia della lavorazione delle lame e dei coltelli a Campobasso fino a quella della pasta e di tutte le sue trafile, solo per ricordarne alcuni.
Quegli album e quei quaderni, così come i preziosi traforati, dimostrano inequivocabilmente come la sua fosse un’indole naturalmente portata al bello, all’elegante, all’armonioso, al ben fatto insomma. Ed è proprio questa inclinazione che gli fece meritare l’epiteto di “poeta” quando fu salutato sui giornali alla conclusione della sua esistenza.

Sono trascorsi esattamente cinquant’anni da allora e, purtroppo, non sono ravvisabili in città segni o tracce che ricordino ai campobassani di oggi, o ai turisti per fortuna sempre più numerosi che transitano per le vie del centro, Nicola Mastropietro e gli altri artigiani/artisti che prima e dopo di lui hanno reso celebre il nome di Campobasso per questa originale e tipica lavorazione.
Non c’è nulla, insomma, che renda giustizia non solo a Nicola Mastropietro, ma anche a tutti quegli altri traforatori che, a partire da Carlo Rinaldi durante il Decennio Francese, fino agli ultimi artefici ancora in attività, hanno scritto pagine importanti della storia della città.
E, da circa un ventennio, non ci sono più neanche le spettacolari lettere in acciaio traforato che componevano il cognome di Mastropietro sull’insegna del negozio di articoli da regalo, gestito dagli eredi di Nicola, e che fino ai primissimi anni del Duemila erano rimaste come unica, sola e preziosa testimonianza visibile di quest’antica e nobile arte: alte circa quaranta centimetri ciascuna, e naturalmente ognuna diversa dall’altra – come si conviene ai “traforati” di Campobasso – quelle lettere avevano campeggiato per poco più di un secolo sul lato di Piazza Vittorio Emanuele che si confonde con il Corso omonimo, e avevano accompagnato dall’alto lo “struscio”, la vita e le abitudini parecchie generazioni di campobassani e non, transitati più o meno distrattamente sotto di loro.
Chi qui scrive, da molto tempo ormai, si adopera per tenere vivo il ricordo dei traforatori e della loro arte con iniziative di vario genere. E anche questo scritto ne è un esempio.
Alcuni risultati sono stati raggiunti; molto, però, resta ancora da fare.
Troppo, forse, per una sola persona.
Vittorio Mancini