Omaggio a Letizia Battaglia, non solo “fotografa della mafia”

Letizia Battaglia
Letizia Battaglia

“Un’insegnante che ha smosso le coscienze; che ha saputo parlare con la forza delle immagini meglio di quanto giornali, tv e media in genere abbiano saputo fare”. Così Rosario Pinto, sulla rivista online Liberoilverso, ha definito la grande fotografa Letizia Battaglia, appena giunta al traguardo degli ottanta anni, essendo nata a Palermo il 5 marzo del 1935, fotogiornalista coraggiosa e nota – in modo però alquanto riduttivo e ingiusto –  come “fotografa della mafia”, irriducibile maestra del bianco e nero, che in una intervista a lui rilasciata di recente ha detto: “Il colore non mi piace, lo trovo orribile. Io ho un animo essenziale, e penso che non avrei mai potuto raccontare i morti di Palermo a colori… Provi a immaginare… Per quanto riguarda il digitale invece non ho nulla in contrario, anzi, oggi fotografo in digitale grazie a una Leica M8 che mi è stata regalata: è molto utile, si controlla meglio e non devo cercare dei bravi stampatori, che tra l’altro oggi non si trovano più”.

Letizia Battaglia, Rosaria Schifani, Palermo 1992
Letizia Battaglia, Rosaria Schifani, Palermo 1992

Curata da Alice Giacometti, una sintetica ma essenziale mostra al Palazzo della Ragione di Bergamo Alta, ha reso doveroso omaggio alla fotografa palermitana che ha fatto del suo lavoro un “manifesto” e un’ esperienza artistica riconosciuta in tutto il mondo, con le sue immagini forti, dirette, autenticissime, in cui la freddezza (che sembra a volte addirittura impietosa e crudele) della cronaca si intreccia con una forte passionalità politica, un impegno morale e politico portato avanti con coraggio e ineguagliabile rigore professionale. In tutto cinquantanove foto realizzate dal 1974 al 2015 sono state selezionate per mettere a fuoco gli aspetti del suo lavoro in quattro sezioni espositive: Palermo, Cronaca, Rielaborazioni e Invincibili. Dalle profonde contraddizioni, quindi, del capoluogo siciliano, tra la povertà, il sorriso dolcissimo dei bambini e l’incanto delle testimonianze del suo fasto architettonico, le feste religiose, i “fattacci” di cronaca e i salotti borghesi, il lavoro minorile e il degrado ambientale; e poi le strade insanguinate dalle terribili esecuzioni mafiose.

Letizia Battaglia, foto  2La fotografa inizia la sua carriera nel 1969 collaborando con il giornale palermitano “L’Ora”. Nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. Nel 1974 ritorna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia “Informazione fotografica”, frequentata da Josef Koudelka e Ferdinando Scianna Quattro anni dopo si trova a documentare liinizio degli anni di piombo della sua città, scattando foto dei delitti di mafia per comunicare alle coscienze la misura di quelle atrocità. Suoi sono gli scatti all’hotel Zagarella che ritraevano gli esattori mafiosi Salvo insieme ad Andreotti e che furono acquisiti agli atti per il processo. E le sue immagini fanno il giro del mondo consacrandola come fotografa di fama internazionale.

Letizia Battaglia, foto 1Ma Letizia Battaglia non è solo “la fotografa della mafia”. Le sue foto, spesso in un vivido e nitido bianco e nero, si prefiggono di raccontare soprattutto Palermo nella sua miseria e nel suo splendore, i suoi morti di mafia ma anche le sue tradizioni, gli sguardi di bambini e donne (la Battaglia predilige i soggetti femminili), i quartieri, le strade, le feste e i lutti, la vita quotidiana e i volti del potere di una città contraddittoria. Negli anni Ottanta crea il “Laboratorio d’If”, dove si formano fotografi e fotoreporter palermitani, tra cui la figlia Shobha, Mike Palazzotto, Salvo Fundarotto. Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il “Premio Eugene Smith”, a New York, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il celeberrimo fotografo di “Life”. Un altro premio, il “Mother Johnson Achievement for Life”, le è stato tributato nel 1999. Ha esposto in Italia, nei Paesi dell’Est, Francia (Centre Pompidou, Parigi), Gran Bretagna, America, Brasile, Svizzera, Canada. Il suo impegno sociale e la sua passione per gli ideali di libertà e giustizia sono descritti nella monografia delle edizioni Motta: Passione, giustizia e libertà (lo stesso titolo di una sua mostra recente). Dal 2000 al 2003 dirige la rivista bimestrale realizzata da donne “Mezzocielo”, nata da una sua idea nel 1991. Nonostante le sue radici profondamente siciliane, la Battaglia si era trasferita nel 2003 a Parigi, delusa per il cambiamento del clima sociale e per il senso di emarginazione da cui si sentiva circondata, ma nel 2005 è tornata nella sua Palermo. Come alcuni sicuramente ricorderanno, nel 2008 appare in un cameo nel film di Wim Wenders “Palermo Shooting”.

Con le sue immagini, ci mette di fronte all’orrore della morte ma dà un volto anche al dolore di chi rimane: è diventata oramai una “icona” l’intenso ritratto di Rosaria Schifani, vedova di Vito, agente di scorta del Giudice Falcone. Dopo le stragi del ’92 decide di smettere di fotografare altri morti: “Per anni – ebbe a dire – ho fotografato cadaveri ma mai gli assassini. Non si conoscevano mai. Se si trattava di un omicidio normale, il killer veniva scoperto subito, ma nei delitti di mafia mai. Ci sentivamo umiliati, un popolo umiliato e schiacciato da questa tragedia”. La mostra di Bergamo racchiude l’anima poliedrica della Battaglia fotografa, editrice, politica, ambientalista, regista. Per realizzare delle immagini belle e potenti, ha detto, “l’importante è che ci metti cuore e testa messi insieme e le gambe per camminare”.

Paolo Sasso

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