Alla Galleria Arianna Sartori di Mantova ritorna l’Artista Walter Davanzo con la mostra “Bobi Bazlen”, che vuol essere un sentito e splendido omaggio allo scrittore triestino il cui vero nome era Roberto Bazlen (Trieste, 10 giugno 1902 – Milano, 27 luglio 1965), che è stato un critico letterario e traduttore, studioso in particolare della letteratura tedesca, consulente editoriale di varie case editrici italiane. Fu amico di Luciano Foà, Adriano Olivetti, Umberto Saba, Giacomo Debenedetti, Italo Calvino e Eugenio Montale (che conobbe nell’inverno del 1923, e che gli dedicò la lirica “Mediterraneo”, nel suo famoso libro Ossi di seppia Fu proprio Bazlen a consigliare a Montale La coscienza di Zeno di Italo Svevo (di cui fu uno dei primi scopritori). Fu in analisi dallo psicologo junghiano Ernst Bernhard, col quale rimase in rapporto fino alla morte. Grazie alle sue scelte, fece conoscere in Italia le opere di Sigmund Freud (pubblicò nel 1952, con la casa editrice romana Astrolabio, la prima traduzione italiana dell’Interpretazione dei sogni), Franz Kafka, Robert Musil (L’uomo senza qualità) e Carl Gustav Jung. Il destino crudele, però, volle che non pubblicasse nulla in vita, e che le sue opere venissero pubblicate solo dopo la sua scomparsa.
Davanzo (Treviso, 1952) ha voluto rendere omaggio a questo sfortunato scrittore e letterato con una bella mostra che propone una selezione di opere, curata da Arianna Sartori, che ci trasportano in universo immaginativo che vaga tra memoria, il sogno e la sogno e visione . Nella sua opera, come ha scritto Eugenio Manzato, dopo aver ricostruito meticolosamente la sua formazione, che si è nutrita nell’approccio a culture diverse, aperta alla modernità: “Questo complesso percorso di vita e di formazione porta Davanzo a un approdo stilistico che rifiuta e supera il naturalismo in favore di una espressività caricata, comune anche ad altri artisti trevigiani della sua generazione: in un saggio del 2006 dedicato alla pittura del ‘900 a Treviso, nel tentativo di trovare affinità e distinzioni tra i pittori che avevano studio nel territorio trevigiano alla fine del millennio, avevo rilevato una comune carica d’inquietudine quale caratteristica di artisti sia pur di varia ascendenza e diversi nei risultati; e una connotazione decisamente espressionista notavo in Walter Davanzo, che si avvaleva “di segni tribali, del grafismo infantile, per esprimere una bellezza deformata e inquietante”. Sono proprio di questo periodo alcuni cicli di opere che l’artista propone attraverso mostre dal raffinato ordinamento allestitivo e dotate di cataloghi attentissimi alla cura editoriale, veri e propri libri d’arte”.
La forte empatia di Davanzo verso il mondo mitteleuropeo rimane una costante nella produzione artistica degli anni successivi. Non è dunque un caso la fascinazione che esercita su di lui un personaggio come Roberto Bazlen: un vera e propria “corrispondenza d’amorosi sensi”, come direbbe Ugo Foscolo, nel culto di forti sintonie sul piano della cultura, dell’arte e della bellezza. Dice ancora Manzato: “Di certo la maggiore affinità tra Walter e Bobi Bazlen è la comune passione per i libri; ma anche le atmosfere mitteleuropee di Trieste hanno giocato a favore di un fertile innamoramento: fertile perché la conoscenza delle vicende biografiche e l’approfondimento della cultura di Bazlen hanno ispirato al nostro artista una serie di opere di rara intensità. Sono dipinti su carta, ma una carta speciale: Davanzo ha infatti utilizzato vecchi mappali del territorio triestino risalenti ai primi anni del Novecento; e le scritte traspaiono o sotto i colori o in campi liberi, rafforzando il carattere mitteleuropeo dei lavori. Ovviamente egli ha tratto spunto dalle fotografie che corredano il libro della Battocletti, trasfigurando tuttavia le immagini delle persone – sono tutti in qualche modo dei “ritratti” – secondo il suo personale stile antinaturalistico e “antigrazioso”. Ne sortisce un ciclo di grande fascino, in cui la sua rilettura rende attuale e vivo il personaggio di Bazlen”. La mostra, pertanto ci fa rivivere questa sorta di fascinazione dell’artista trevigiano esercitata su di lui dall’uomo di lettere giuliano, che ha ispirato la sua pittura.
Una pittura che, dopo gli esordi caratterizzati da una ricerca nell’astratto-informale si è indirizzata verso un’indagine pittorica proiettata verso una figurazione libera e ingenua, fatta di immagini oniriche e grottesche, alimentate da una fertile fantasia, riferimenti all’infanzia, eden perduto cercato come sappiamo da grandi pittori moderni, da Picasso a Klee, dando vita a delle figure di impianto fauve-espressionista. La sua è una affannosa ricerca dei segni dell’uomo nella natura e della sua esistenza, attraverso una pittura “fotografica”: figure con colori molto decisi, “grafismo” infantile, che coniuga, con esiti di grande suggestione la joye de vivre dell’uomo moderno con le sue inquietudini.
Michele De Luca